Boscimani: una storia da raccontare

Ancora oggi nel mondo esistono popolazioni emarginate dal resto del pianeta, private delle loro tradizioni. Una di queste sono i boscimani, che vivono in campi di reinsediamento del Botswana. Per sopravvivere dipendono dalle razioni di cibo distribuite dal governo, poiché è vietato loro cacciare e, se sorpresi, vengono picchiati e arrestati. Sradicati dal loro ambiente nativo sono stretti dalla morsa dell’alcolismo, della noia, della depressione e flagellati da malattie come la tubercolosi, l’HIV e l’AIDS, i boscimani sono un popolo da salvare. 

Sono una popolazione indigena stanziatosi nell' Africa sud occidentale,già dal neolitico.

 

Le prime popolazioni dell’odierno Botswana furono dei cacciatori-raccoglitori. Intorno al XVII secolo giunsero nella zona le etnie bantu, provenienti da nord, che riuscirono ad avere il sopravvento e ad insediarsi nella regione. Gli indigeni furono così costretti a ritirarsi nelle zone più impervie e desertiche del luogo. Verso la fine del XIX secolo, iniziò un afflusso di coloni bianchi provenienti dal Sudafrica e, nel 1885, alla Conferenza di Berlino, la regione fu dichiarata protettorato britannico, prendendo il nome di Bechuanaland. Nel 1966 il Botswana divenne indipendente come stato membro del Commonwealth. 

 

I boscimani abitano nella zona desertica del Kalahari e, dopo aver sviluppato un’ottima conoscenza della natura e dei fenomeni fisici e biologici, sono diventati abili cacciatori organizzati in piccoli clan famigliari. 

Il deserto Kalahari è una regione dell’Africa meridionale, collocata tra i bacini idrografici dei fiumi Zambesi e Orange, con una superficie di 93mila km2. 

È un ambiente ricco di animali, come gazzelle, suricati, manguste e il più grande leone d’Africa.

Amano la musica, il canto e la danza ma, purtroppo, dopo che sono stati scacciati dal loro territorio,hanno completamente abbandonato le loro forme d’arte, quali la pittura e l’incisione. 

Il linguaggio è la loro seconda ricchezza: presenta una gamma di suoni molto articolata e, inoltre, comunicano anche con il resto del corpo, caratteristica derivante dalle strategie di comunicazione silenziosa utilizzate per coordinare le operazioni durante la caccia di gruppo. 

Essi credono che esista un supremo creatore (Ka’aggen), che dispensa fortune e sventure, e una divinità minore che porta solo guai per gli uomini. 

Sostengono che ogni animale sia stato prima un uomo, fonte principale delle loro leggende. Prima di partire per una battuta di caccia, essi consultano le “tavole della divinazione”, gettandole nel carniere vuoto e chiedendo loro di indicargli la direzione giusta per un bottino fruttuoso.

Per loro l’acqua è la risorsa più importante e se la procurano succhiandola dal terreno. L’80% della loro alimentazione è costituito da frutti, piante, insetti, uova di uccelli e favi di miele. Mangiano ogni tipo di animale commestibile, compresi bruchi, larve, topi e, per sopravvivere, si nutrono anche di carni imputridite e uova marce.

I boscimani sono una delle etnie minoritarie del Botswana(1,3%). Quest’ultimo conta in tutto circa 2,5 milioni di abitanti, concentrati prevalentemente nell’est del Paese, tanto che la densità media è di 3,5 ab./km2. (cfr densità italiana 200,8 ab/km2).Nella regione vi sono diverse etnie. La maggioranza della popolazione è costituita da neri di ceppo bantu (85%), suddivisi in tre gruppi: Tswana, Shona e Ndebele. Un’altra etnia presente è quella degli ottentotti (1,3%). 

Gli ottentotti o Khoikhoi, sono un insieme di tribù dell' Africa sud occidentale, il cui nome deriva dal loro balbettio nel comunicare. Attualmente sono circa 15mila persone. Essi sono pastori e allevatori di bestiame, praticano la caccia e, meno frequentemente, la pesca. Il latte è il loro nutrimento essenziale e la dieta è completata dalla carne e dalla raccolta di frutti e tuberi. La loro arma principale è l’arco con le frecce avvelenate. Essi sono abili nella lavorazione del metallo e delle pelli, con le quali fabbricano oggetti. Vivono in capanne disposte a cerchio o in costruzioni improvvisate con casse di legno o di latta.

La lingua ufficiale del Botswana è l’inglese, parlato però solo dal 2,1% degli abitanti. Il resto comunica mediante la lingua nazionale: il setswana.

La religione dominante è il Cristianesimo, con minoranze atee ed indigene.

Il Botswana è diviso in nove distretti e ventotto sotto-distretti. L’organizzazione dello Stato è basata sul modello britannico, con un parlamento bicamerale suddiviso in “Camera dei Capi” e “Camera dei Comuni”. Il potere esecutivo è detenuto da un governo con a capo il presidente, il quale ha anche la facoltà di designare il proprio successore.

Il primo capo di Stato ad essere  eletto nel 1966 fu Sir Seretse Khama, che restò in carica fino alla sua morte, del 1980. Gli succedette Quett Masire, che si ritirò, però, a favore del vicepresidente Festus Mogoae, nominato nel 1999. Quest’ultimo delegò il potere al figlio del primo presidente Khama. Egli fu votato nel 2008 e confermato nelle elezioni del 2014 per altri cinque anni.

 

 

 

Sir Seretse Khama

La ripartizione della ricchezza interna è disomogenea. Infatti, l’agricoltura è praticata solo nella regione orientale del Paese ed è soggetta al regime pluviale. Sono coltivati sorgo, mais, miglio, girasole e cotone. L’allevamento bovino e caprino è fondamentale e rifornisce il mercato di latte, carni e pelli.

Il Governo per tutelare gli allevatori dalle malattie che gli animali di allevamento potevano contrarre dagli animali selvatici, fece innalzare una recinzione che ancor oggi divide di fatto il Botswana in due meta' . Una recinzione ininterrotta di migliaia di chilometri che impedisce le migrazioni di animali da nord a sud. Essi che vivevano di caccia, persero da un giorno all'altro la possibilità di cacciare gli animali che dal deserto del Kalahari erano soliti migrare a nord per abbeverarsi. Per poter sopravvivere si misero quindi a predare gli animali di allevamento, scatenando la reazione violenta degli allevatori.

Il settore terziario è in forte sviluppo e contribuisce per oltre la metà al PIL grazie al turismo. Lo Stato promuove l’ecoturismo e l’etnoturismo, offrendo la possibilità di visitare i villaggi degli aborigeni e di vedere gli artigiani d’arte all’opera. I safari rappresentano una delle principali attrazioni,  ne esistono di vario tipo, come, quelli a cavallo o sul dorso di un elefante. 

Mancano le attività manifatturiere, eccetto alcuni impianti tessili, di macelleria e metallurgici. Allo sfruttamento delle miniere di rame e nichel si aggiunge quello delle miniere di oro, carbone, cobalto e sodio. 

La principale fonte di ricchezza del Paese è l’industria diamantifera. Malgrado fosse un punto di forza per l’economia dello Stato, è diventato motivo di lotta fra i boscimani e il governo del Botswana. Agli inizi degli anni Ottanta furono scoperte miniere di diamanti. Poco dopo, i ministri del governo si recarono nel luogo dicendo ai boscimani che dovevano andarsene a causa dei giacimenti rinvenuti. Nel 1997 furono effettuati i primi sfratti forzati, le loro case vennero distrutte, le scuole e i dispensari sanitari furono chiusi, il pozzo per l’acqua  venne smantellato e cementato. Insomma i boscimani dovettero abbandonare la riserva turistica del Kalahari che per millenni era stata la loro casa.  Senza di esso era difficile trovare abbastanza acqua per sopravvivere, e le riserve d' acqua furono rovesciate nel deserto. Inoltre, la popolazione fu minacciata, caricata su camion e portata via. Nonostante, nel dicembre 2006, avessero vinto in sede legale il diritto di tornare nelle loro terre, il governo ha continuato ad ostacolarli. Dopo essere ricorsi in appello nel gennaio 2011, la Corte Suprema del Botswana ha riconosciuto loro il diritto di usare il vecchio pozzo e di aprirne di nuovi. I giudici hanno ritenuto la lotta dei boscimani “una storia straziante di sofferenza e disperazione umana”. 

Il governo ha anche rifiutato di rilasciare permessi di caccia all’interno delle loro terre, arrestando oltre cinquanta boscimani con l’accusa di aver cacciato per sfamare le proprie famiglie e torturando molti di essi. Infine, è stato limitato loro l’accesso alla riserva.

Per difendere la vita e i diritti delle minoranze indigene di tutto il mondo, nel 1969 è nata un’associazione, Survival International. Essa mira a prevenire lo sterminio di questi popoli ancestrali, a proteggere le loro terre ed offre loro la possibilità di denunciare le prepotenze che subiscono ogni giorno. Infatti, le società industrializzate sottopongono i popoli indigeni a violenza genocida, schiavitù e razzismo per poterli derubare di terre, risorse e sfruttarli come forza lavoro in nome del “progresso” e della “civilizzazione”. 

Bartolucci Valentina, Grandoni Lucia, Mancani Ginevra, Indio Elena III C