Il muro tra Israele e Palestina

Dal 2002 Israele ha cominciato a costruire una barriera di separazione in Cisgiordania, sotto il nome di “chiusura di sicurezza”. Dei 764 chilometri di muro pianificati, ne sono stati costruiti 570. La barriera è stata costruita quasi interamente sulle terre palestinesi e ha un impatto molto forte sulla vita delle persone: ogni giorno migliaia di palestinesi sono costretti a fare lunghe file ai checkpoint controllati dall’esercito israeliano per andare a lavorare in Israele. Alto 13 metri, il muro parte dal nord della città palestinese di Tulkarem, scendendo poi verso i quartieri palestinesi di Gerusalemme fino a sud di Betlemme. Questa barriera è anche chiamata “muro salvavita” dagli israeliani e “muro della vergogna” o “muro dell’annessione” dai palestinesi, che la intendono come un muro di separazione razziale.

Per capire però gli eventi che hanno portato all’innalzamento del muro, è necessario fare un approfondimento storico partendo dalla nascita del movimento sionista. Il termine sionismo viene utilizzato per indicare il movimento politico nato alla fine del XIX sec. che ha sostenuto la necessità di preservare, incrementare e diffondere la coscienza dell'appartenenza alla cultura ebraica attraverso la creazione di uno Stato nazionale ebraico. Già nel 1882 ci fu la prima Aliyah, l’ondata migratoria –per lo più da Paesi europei- con cui tra i 25.000 e i 35.000 ebrei si stabilirono in Palestina.

Il fondatore del movimento sionista fu Theodor Herzl (1860-1904), che nel 1895, sull'onda del turbamento in lui provocato dal processo Dreyfus (l’ufficiale dell’esercito francese di origine ebraica accusato ingiustamente di alto tradimento), che in quegli anni divideva l'opinione pubblica della Francia, e dall'ondata di antisemitismo che in quell'occasione attraversò l'Europa intera mediante aggressioni individuali e pogrom collettivi, scrisse l'opera che viene considerata il manifesto programmatico del sionismo, dal titolo Der Judenstaat. Questo libro, pubblicato nel 1896 a Vienna in sole tremila copie, ebbe una grandissima risonanza tra gli ebrei di tutto il mondo, al punto che nell'arco di un solo anno venne costituito il vero e proprio movimento sionista, che dal 29 al 31 agosto 1897 tenne a Basilea il suo primo congresso mondiale con un forte messaggio: dato che per due millenni i  tentativi di assimilazione degli ebrei nelle altre nazioni è sempre stato ostacolato, l’unica via praticabile è la ricostituzione di una nazione ebraica nella terra dei padri, in Palestina.

Così nei primi anni del XX secolo ebbe un notevole impulso l'emigrazione ebraica in Palestina, al punto che nel 1908 venne fondata, in un territorio completamente arabizzato, la città ebraica di Tel Aviv. Nel corso della prima guerra mondiale il movimento sionista, che si distinse per la stretta collaborazione militare con la Gran Bretagna, ottenne un importantissimo riconoscimento internazionale: il governo britannico si dichiarò favorevole, con la Dichiarazione di Balfour del 1917, alla nascita di una sede stabile per gli ebrei in Palestina (territorio dell'Impero turco, in quel momento alleato dell’Impero tedesco degli Hohenzollern e dell'Impero austro-ungarico degli Asburgo) al termine della guerra, qualora, in caso di vittoria dell'Intesa, la Palestina fosse diventata un protettorato britannico. Nel 1919, quando quella Dichiarazione divenne operativa, anche gli Arabi palestinesi accettarono il contenuto della Dichiarazione e l'immigrazione ebraica dall'Europa divenne ancora più imponente.

Dopo le vicende della Seconda guerra mondiale, durante la quale il movimento sionista si impegnò strenuamente (e spesso inutilmente) nel tentativo di animare la solidarietà internazionale verso le vittime delle persecuzioni naziste, apparve del tutto evidente, soprattutto ai superstiti del genocidio consumatosi in Europa, la necessità di edificare al più presto uno stato ebraico. Fu in questa fase storica che il movimento sionista raggiunse la sua massima popolarità.

Tra il 1920 e il 1948, quando gli immigrati ebrei arrivavano ormai a 360.000, le ostilità fra le due popolazioni aumentarono, anche perché gli ebrei immigrati, favoriti dalla Gran Bretagna, si erano impadroniti di terre, industrie e lavoro. Nel 1936, però, ci fu la Grande Rivolta Araba, che durò quattro anni e portò a un ridimensionamento dell’appoggio della Gran Bretagna ai progetti dei sionisti, che in quegli anni avevano creato anche organizzazioni militari (Haganah) e paramilitari (Irgun) per portare avanti il loro progetto nazionalista.

Nel 1947 la questione palestinese diventa effettivamente un problema internazionale: le Nazioni Unite approvano un piano di partizione in due Stati, nonostante si parli di 1,2 milioni di arabi (a cui sarebbe spettato il 45% del territorio) e 600.000 ebrei (a cui sarebbe invece spettato il 55%), con Gerusalemme proclamata città internazionale. Questo piano viene accettato dal movimento sionista e rifiutato dai palestinesi. Inizia l’eccidio: le forze paramilitari e sioniste scacciano i palestinesi dalle loro terre e massacrano chi si rifiuta di farlo: su questi territori viene proclamata da Ben Gurion la nascita dello Stato d’Israele nel maggio 1948, ricordato invece dal popolo palestinese come Nakba (catastrofe). Nel frattempo centinaia di profughi palestinesi si riversano nei territori circostanti e gli scontri armati iniziati già nel novembre del 1947 nel 1948 si trasformano in una vera e propria guerra: da una parte Israele e dall’altra la Lega Araba (Siria, Egitto, Libano, Arabia Saudita, Iraq, il Regno dello Yemen e Transgiordania). Si concluderà nel marzo del 1949 con la vittoria di Israele, che guadagna nuove terre e si prende il 78% della Palestina.

Negli anni seguenti la tensione cresce e nei territori palestinesi c’è una forte tensione verso la liberazione nazionale. Nel 1964 nasce l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) con l’obiettivo di liberare la Palestina per mezzo della lotta armata. Tre anni dopo esplode un nuovo conflitto: la Guerra dei sei giorni, che vede contrapposti Israele da un lato ed Egitto, Siria e Giordania dall’altro. Dal 5 al 10 giugno 1967, in solo sei giorni, Israele vince e occupa militarmente la Cisgiordania, Gerusalemme est, la Striscia di Gaza, il Golan siriano e il Sinai egiziano. Questo è un momento fondamentale della storia della questione israelo-palestinese, perché quell’occupazione in Cisgiordania e Gerusalemme Est dura ancora oggi.

Anche negli anni ’70 e ’80 continuano gli scontri armati, che sfociano tra il 16 e il 18 settembre 1982 nel massacro di Sabra e Shatila, in cui 3.500 profughi palestinesi vengono uccisi da milizie libanesi con la complicità dell’esercito israeliano. Nel 1987, dopo l’uccisione di quattro palestinesi a Gaza, scoppia la Prima Intifada: una sollevazione di massa del popolo palestinese, fatta di manifestazioni, barricate, scontri, boicottaggi, autogestione e rifiuto di pagare le tasse. Pochi mesi dopo viene fondato Hamas, un’organizzazione politico-paramilitare palestinese da molti Paesi considerata un’associazione terroristica. La prima Intifada si conclude nel 1993 con gli Accordi di Oslo, firmati da Arafat (capo dell’OLP e rappresentante del popolo palestinese) e Rabin (primo ministro israeliano), che stabiliscono il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza e da alcune zone della Cisgiordania, la creazione dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e la divisione della Cisgiordania in tre aree: l’area A, sotto controllo palestinese (18% del territorio), l’area B, a controllo misto (21% del territorio) e l’area C, controllata da Israele (60% del territorio). La maggioranza della popolazione palestinese vive nelle zone A e B. Circa il 70% dell’area C – che comprende la maggior parte dei terreni agricoli, delle risorse naturali e delle terre disponibili – è di fatto a uso esclusivo degli israeliani. Nei territori palestinesi continuano a sorgere e a espandersi gli insediamenti israeliani, dichiarati illegittimi dalla comunità internazionale.

Nel 2000 i palestinesi scatenano la seconda Intifada per ribellarsi alla continua espansione israeliana. Circa tremila palestinesi e mille israeliani muoiono durante la rivolta. Nel 2002 Israele comincia a costruire la barriera di separazione con lo scopo formale di impedire gli attentati. Il muro viene costruito soprattutto nel versante palestinese della Linea verde, favorendo la nascita di nuove colonie tra la Linea verde e la barriera. Attualmente in Cisgiordania ci sono 132 insediamenti in cui vivono quasi 400.000 coloni israeliani, a cui si aggiungono 97 insediamenti costruiti senza un’autorizzazione ufficiale.

Nel 2005 il premier Sharon ritira i coloni israeliani dalla Striscia di Gaza, lasciandola completamente ai palestinesi. Negli anni a seguire Hamas assumerà il controllo della Striscia di Gaza, mentre la Cisgiordania rimane sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese. Israele reagisce a questo stato di cose imponendo un blocco totale della Striscia e causando una forte crisi umanitaria al suo interno; nel 2008 la attacca con l’operazione “Piombo Fuso” e nel 2014 con l’operazione “Margine protettivo”. La situazione della Striscia di Gaza peggiora, mentre nei territori occupati della Cisgiordania nulla cambia e la vita dei palestinesi sembra incanalarsi nella “normalità” dell’occupazione.

ll 6 dicembre 2017 Trump riconosce Gerusalemme come capitale di Israele e nel marzo 2018 annuncia il trasferimento dell’ambasciata USA nella città santa. Organizzazioni e comitati nella Striscia di Gaza annunciano la Grande marcia del ritorno, manifestazione popolare, che costerà la vita a 254 palestinesi e provocherà 25.500 feriti, repressi duramente dalle forze militari israeliane.

Francesco Gnucci III A LSO