L'uomo: l'essere più maligno, l'essere più benevolo

L’uomo, la creatura più fragile e incostante, sostiene Montaigne. Difficile è conoscere a fondo la sua essenza, capire chi realmente egli sia: non basterebbe una vita intera, non sarebbero sufficienti le parole. E’ costui essere forte e virtuoso, orientato per natura e tendente al bene, o è egli essere malvagio e spregevole, quale la peggiore delle bestie, incline al male e inesorabilmente destinato a rendersi responsabile dei peggiori crimini e delle più grandi atrocità? Da sempre l’uomo è stato considerato come l’unica creatura dotata di pensiero, la sola a porsi delle domande di fronte al mondo presente, a chiedersi il perché delle cose, non accontentandosi del come; la peculiarità che proprio lo distingue dalle altre bestie è, infatti, la ragione. Ricordiamo, a tal proposito, Aristotele, per il quale la virtù dell’uomo, ossia la compiuta realizzazione della sua essenza, risiede proprio nella capacità di vivere secondo ragione. Questa dovrebbe guidarlo nelle sue scelte, aiutarlo a discernere il bene dal male, orientarlo a perseguire le buone azioni, salvarlo dalla tentazione del male. In partenza l’uomo non è essere crudele né spietato: i bambini sono sinonimo di purezza e innocenza, candidi come il colore della neve. Tuttavia, la ragione non sempre è in grado di allontanare gli impulsi negativi, e l’uomo viene talvolta sopraffatto dall’odio e dal male, che sono causa della più grande perdizione dell’animo umano. Thomas Hobbes (1588-1679), testimone della violenza della guerra civile in Inghilterra, è solo uno dei tanti filosofi, ad avere una concezione pessimista della natura umana: egli sostiene che nello stato di natura (l’ipotetica condizione in cui gli uomini non sono ancora associati, né dominati da un potere e dalle leggi) l’uomo è in condizione di guerra, portato a sopraffarsi l’un l’altro, ragione che lo porterà a sostenere l’assolutismo. Diversa è invece la posizione di John Locke (1632-1704) che, probabilmente guardando all’evoluzione della guerra civile che ha portato alla “Bill of Right” nel 1689, ripone speranza nel genere umano, pur riconoscendone i limiti e avvertendo comunque l’esigenza di un patto tra gli individui dello stato. Difficile è scegliere quale delle due tesi abbracciare: se da un lato l’uomo è capace delle peggiori atrocità, dei più grandi crimini contro se stesso, di scegliere più facilmente il male piuttosto che il bene, dobbiamo, però, riconoscere che l’uomo è, altresì, migliore amico di se stesso, idoneo alle virtù più grandi e paladino del bene. Significativo da tale punto di vista è il pensiero di Giovanni Pico della Mirandola, il quale nell’”Oratio de hominis dignitate” sostiene che l’uomo ha in sé i semi di tutte le cose: egli ha la possibilità di elevarsi alle cose superiori così come degenerare nei bruti. La concretezza dei fatti storici ci dà dimostrazione di quanto la natura umana possa essere maligna e spregiudicata: nel secolo appena trascorso l’uomo si è davvero sporcato le mani di sangue con la sua ferocia inaudita, ignorando i valori più nobili e alti dell’Illuminismo, quali la tolleranza e il rispetto degli altri. Egli si è reso responsabile delle due guerre più sanguinose di sempre, e soprattutto si è fatto carico del più grave crimine contro l’umanità che possiamo ricordare: la Shoah. La storia ci insegna come l’uomo ha barbaramente sterminato un popolo, distrutto intere famiglie, ridotto suoi “simili” (perché non esiste nessuna razza) in condizioni estreme, come carne al macello. Che uomo è quello che separa un bambino dall’affetto e dalla protezione di una madre? Può chiamarsi uomo chi priva un suo simile della sua dignità uccidendolo dentro prima ancora che fuori? Non sono stati sufficienti secoli e secoli di storia, di guerre per evitare la strage più sanguinosa e crudele di sempre. Ma come è possibile che si arrivi a così tanto? Come può il male essere causa della perdizione più totale? L’uomo può molto facilmente cancellare da sé ogni traccia di umanità ignorando completamente il suo cuore e se stesso. Proprio quando viene meno quel dialogo interiore di cui parla Socrate, proprio quando smette di guardarsi dentro, l’uomo può diventare capace di trasformarsi nella bestia più crudele, senza farsi più alcuno scrupolo. Cito qui Hannah Arendt che ne “La banalità del male” giudica Eichmann, uno dei maggiori responsabili dell’Olocausto, né come mostro, né come stupido: per la filosofa “egli ha annullato completamente la sua coscienza”. L’uomo è così fragile che spesso, invece di agire secondo il proprio pensiero e la ragione, preferisce omologarsi al sistema vigente, schierarsi con i più forti, anche a costo di scegliere il male: così Eichmann ha preferito rinnegare se stesso pur di diventare qualcuno. L’uomo è cosi debole e insicuro di sé, che avverte sempre il bisogno di essere confortato, correndo dietro false speranze e desideri vani, e rinunciando a ciò che è realmente importante; e così persegue il denaro e il potere, non si fa scrupoli pur di ottenere ciò che desidera, ricorre spesso all’uso della violenza. Dà in questo modo prova ancora più evidente della sua fragilità, dimostra che non sa riuscire a ottenere ciò che vuole senza sporcarsi le mani di sangue. L’uomo così non sarà mai soddisfatto, vorrà avere sempre di più, non si accontenterà mai di ciò che ha, sarà ossessionato dal controllo e dal possesso di tutto. E in questo modo si ostina a capire che la vera felicità risiede nel compiere il bene, nel fare tesoro dei rapporti affettivi, nell’amare e nel dare la vita per l’altro: solo così potrà essere veramente soddisfatto, farà sentire meglio gli altri e se stesso. Ci sono stati però grandissimi esempi di umanità, uomini lodevoli e degni di onore, che hanno saputo trovare la loro stella, hanno lottato per un futuro più felice, si sono messi in gioco per la felicità stessa dell’uomo. Ci tengo a citare alcuni personaggi del secolo scorso che mi sembrano emblematici da questo punto di vista: Nelson Mandela, simbolo della lotta all’ apartheid, che gli costò ben 28 anni di carcere, Martin Luther King, leader del movimento che in America si batteva per i diritti degli afroamericani, ragione per la quale venne assassinato, Maria Teresa di Calcutta, che si adoperò tantissimo per i poveri della città indiana. In Italia è doveroso ricordare due grandi eroi quali i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, protagonisti indiscussi della lotta alla mafia e entrambi vittime di due attentati mafiosi. Certamente questi sono solo alcuni degli esempi possibili: il mondo è pieno di gente come loro, persone che sanno fare il bene, che non sono indifferenti o complici del male. E tutto questo fa sperare, fa sperare che l’uomo possa riscattarsi dal passato e rinascere a una nuova vita, è di auspicio per un mondo più giusto. Ognuno di noi può essere parte di una nuova storia che possiamo riscrivere tutti insieme, lasciando alle spalle secoli e secoli di violenza. Tendiamo sempre a focalizzarci sugli aspetti negativi: così fanno ad esempio i media, i telegiornali, fanno emergere sempre il marcio, oscurando il bello del mondo. Sicuramente l’uomo si è macchiato di gravissime colpe, ha fatto errori che hanno lasciato un segno indelebile nel corso della storia a cui non potrà mai rimediare e ancora si renderà responsabile di tanta violenza, ma preferisco avere fiducia nel genere umano, pensare che molti uomini, forse la maggior parte, hanno un grande cuore e credono ancora nel bene. Ho ancora fiducia e speranza nell’uomo e non voglio perderla. 

                                                                                                                            Federico Sirocchi, IV A