Birmania e il genocidio dimenticato

Nello Stato Kachin, a nord-est della Birmania, sono ripresi gli scontri tra il Tatmadaw (il potente esercito birmano) e il Kachin Independence Army ( chiamata Kia), la milizia etnica che per decenni ha salvaguardato, armi in pugno, l’identità, la terra e le tradizioni della popolazione a maggioranza cristiana davanti alle offensive delle forze governative interessate ad annientare ogni specificità e ad arricchirsi con le risorse naturali che la regione offre.

All’inizio di aprile del 2018 le truppe birmane hanno lanciato una potente operazione militare contro il quartier generale del gruppo etnico a Laiza, la capitale dello Stato Kachin. L’esercito bombarda quel territorio via terra, ma anche con l’appoggio di elicotteri e aerei militari. A causa dei colpi di mortaio e degli scontri a fuoco, fino ad ora più di 5mila persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni. Tra queste, secondo quanto riferisce Vatican News, oltre mille sarebbero in ostaggio dell’esercito e verrebbero usate come scudi umani. È impossibile, invece, conteggiare le vittime di questi attacchi.

Per chiedere la fine degli attacchi in atto, il 28 maggio migliaia di cattolici Kachin hanno sfilato per le strade di Myitkyina. A guidare la marcia è stato il vescovo della città Francis Daw Tang. Asia News precisa  che “alla dimostrazione hanno partecipato anche molti protestanti e non cristiani”. Altre manifestazioni si sono svolte in tutto il Paese. E a Washington, negli Stati Uniti, sempre secondo quanto riporta l’agenzia di stampa, “molti esuli birmani hanno attuato uno sciopero della fame per gli sfollati intrappolati, chiedendo la fine delle violenze e riferendo al governo Usa che in Myanmar sta avvenendo un vero e proprio genocidio dei cristiani”.

L’analista politica e scrittrice Stella Naw ha dichiarato al quotidiano “Guardian” che quello che sta succedendo nelle zone abitate dai Kachin “è una guerra in cui i civili vengono sistematicamente presi di mira dall’esercito governativo, ma nonostante questo, la comunità internazionale ha deciso di ignorarla”.

L’otto aprile 2017 , dopo una missione in Birmania, Ursula Mueller, segretario generale per gli Affari Umanitari dell’ONU, ha spiegato che il conflitto nello Stato Kachin “è una crisi umanitaria dimenticata”.

Inoltre, molte organizzazioni in difesa dei diritti umani hanno denunciato che è stato impedito dal governo centrale di portare aiuti ai civili intrappolati nella giungla. E hanno riferito che l’escalation delle operazioni militari delle truppe birmane contro i gruppi etnici che popolano il Paese sta avvenendo anche grazie al fatto che l’attenzione internazionale è tutta focalizzata sulle minoranza musulmana Rohingya nello Stato Rakhine, nel nord-ovest della Birmania.

L’Onu punta il dito contro l’esercito birmano e si scaglia anche contro il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi: “La leader non ha utilizzato la sua posizione per contrastare gli avvenimenti”, si legge in un report pubblicato il 27 agosto del 2018.

Oltre 700mila musulmani Rohingya sono fuggiti dalla Birmania a seguito di un’offensiva dell’esercito birmano lanciata in risposta ad attacchi contro posti di controllo alle frontiere da parte di ribelli. Zeid Ràad al-Hussein, Alto Commissario Onu per i diritti umani, lo scorso settembre aveva denunciato il palesarsi di una vera e propria “operazione di pulizia etnica“. Stando alle stime fornite da Medici senza frontiere sono 10mila i Rohingya morti per mano dell’esercito birmano.

La principale causa di morte sono ferite da arma da fuoco, il 69% dei casi, secondo le indagini. Il 9% è stato bruciato vivo dentro le case date alle fiamme, il 5% è morto per le percosse. Il 60% dei bambini sotto i cinque anni è stato ucciso a colpi d'arma da fuoco.

 

Maria Giulia Marchetti, III C LSA