“Kashmir”, non solo un tessuto

Ha destato parecchio interesse la visita della premier norvegese Erna Solberg il giorno 13 gennaio 2019 in India, dove tra i vari punti politici toccati c’è stata una disponibilità da parte della Norvegia per mediare sulla questione del Kashmir. Terra che dal ’47 subisce ciclicamente i venti di guerra tra India e Pakistan.

Il conflitto si riferisce infatti alla contesa tra India e Pakistan per la regione del Kashmir.

In questa guerra il conto delle vittime ha ripreso a salire. Nel 2016 sono stati contati 267 morti dovuti al conflitto, 451 morti nel 2017 tra civili, militari e ribelli, nel 2018 ancora sono da stimare, già nel 2019 sono morti 4 ribelli, organizzatori di una protesta datata il 2 gennaio. Ma dal 1947 ,l’inizio del conflitto ,ad oggi si contano più di 70mila morti.

Dal punto di vista del Pakistan, in Kashmir una potenza occupante (l’India) nega libertà e autodeterminazione alla popolazione musulmana occupata, che si rivolgerebbe “naturalmente” al Pakistan per protezione. Dal punto di vista dell’India invece una potenza straniera (il Pakistan) foraggia una ribellione e infiltra terroristi armati per destabilizzare il territorio.

Quasi immediatamente dopo l'indipendenza, nel 1947, le tensioni fra l'India e il Pakistan cominciarono a degenerare. In base agli accordi stipulati, il sub-continente sotto dominio britannico avrebbe visto il sorgere di due distinti Stati: uno, l'India, a prevalenza induista, col corredo delle regioni che a tale cultura religiosa si richiamavano, e l'altro, il Pakistan, a maggioranza marcatamente islamica.

Il Kashmir era governato dal Maharaja induista mentre la popolazione era a maggioranza musulmana. Pertanto, a seguito della riluttanza del Maharaja induista del Kashmir di entrare a far parte del Pakistan, quest’ultimo organizzò un'invasione tribale di parti del Kashmir e, in un secondo momento l'invio di proprie truppe per annettere lo Stato. Il Maharaja si appellò all'India, chiedendo aiuto, ma gli fu risposto che l'India non vedeva alcuna ragione per intervenire. Fu così che il Maharaja firmò l'atto di cessione all’India e il Kashmir, unilateralmente, entrò a far parte dell'Unione indiana. Mentre l'annessione del Kashmir all'India fu ratificata dalla Gran Bretagna, il Pakistan al contrario rifiutò di riconoscere tale atto e continuò a rivendicare l'annessione integrale del Kashmir di cui occupava già un terzo del territorio (circa 72 000 km²). Ne è risultata la prima guerra tra India e Pakistan, 1948-49. La linea di cessate-il-fuoco negoziata con la mediazione delle Nazioni Unite è diventata il confine di fatto (Linea di Controllo): a Ovest il settore sotto controllo pachistano (circa un terzo del territorio originario), a Est la parte sotto sovranità indiana.

Nel 1962 la regione de l'Aksai Chin (Ladakh), appartenente originariamente al Kashmir, fu annessa alla Cina.

Il conflitto è riesploso nel 1989 in una protesta civile che ha coinvolto un ampio fronte sociale e politico, dall’Università ai sindacati ai partiti nazionalisti. Alla fine di quell’anno le prime azioni armate hanno segnato l’inizio di una ribellione separatista.

Dai primi anni Duemila la violenza è andata calando. Ma il conflitto ha lasciato una scia di ingiustizie e abusi mai riparati. Nel 2010 il Kashmir ha visto un’ondata di proteste inedita, una intifada urbana che ha coinvolto giovanissimi armati di sassi: chiedevano la revoca delle leggi speciali dell’India che garantiscono impunità all’esercito.

Nel 2012 il Governo indiano ha concesso un’amnistia. Quell’anno è stato in assoluto il meno sanguinoso da un ventennio, con 117 morti relativi al conflitto. Poi però la tendenza si è invertita. Nel 2013 ha suscitato rabbia e proteste in Kashmir l’impiccagione di Afzal Guru, esponente kashmiro condannato a morte per l’attacco del 2001 al Parlamento indiano (dopo un processo molto contestato da intellettuali e attivisti per i diritti umani). Gruppi armati come il Hizb-ul Mojaheddin hanno ripreso a reclutare; l’infiltrazione di guerriglieri e armi dal territorio pachistano è ripresa. Nella valle del Kashmir la disillusione è palpabile. Le promesse di pace e benessere non si sono realizzate o non per tutti. Le leggi speciali restano in vigore, e New Delhi non sembra disposta a ripristinare l’autonomia del Jammu&Kashmir. La pace nella valle del Kashmir dipende sia dalle relazioni tra India e Pakistan, sia dalla capacità dell’India di trovare un assetto democratico condiviso con le forze sociali e politiche di questo territorio. Ma senza garantire giustizia e revocare le leggi d’eccezione questo sarà molto difficile.

 

Gianluca Fucili, III C LSA